Negli Stati Uniti la più celebre è quella Pepperoni; in Islanda si chiama Spelt e Ftira t’Ghawdex a Gozo; in Sudafrica è condita con cubetti di pollo: sono nomi e caratteristiche della pizza italiana nel mondo!
Diffusa già presso gli Egizi, i Greci e i Romani come focaccia schiacciata, la pizza ha una storia complessa, lunga e incerta.
Confezionata nei forni a legna e venduta dai garzoni di bottega nei vicoli di Napoli, questa vivanda entra a pieno titolo nella tradizione alimentare partenopea intorno all’800, quando nascono le prime pizzerie e dinastie di pizzaioli, divenendo dapprima icona del folklore locale e conquistando in seguito consensi su scala nazionale e mondiale.
Diffusissima in tutto il mondo, questa specialità consta di infinite varianti e tipologie, ed è presente all’estero in quasi tutti i ristoranti con nomi e caratteristiche diverse a seconda delle tradizioni locali.
Se vai in Islanda, ordina una Spelt Pizza: impastata con farina di farro e AB-mjòlk, ovvero un misto di latte pastorizzato e omogeneizzato a cui si aggiunge latte scremato in polvere e inacidito con Lactobacillus acidophilus e Bifidobacterium bifidum.
Pomodori freschi, tonno, patate, formaggio maltese, vari affettati, olive, capperi, acciughe, pepe e origano sono gli ingredienti della Ftira t’Ghawdex tipica dell’isola di Gozo.
Nata negli States ma diffusa soprattutto in Australia e Nuova Zelanda è la Hot Dog, che si ottiene mettendo i wurstel sui bordi dell’impasto, poi richiuso verso l’interno.
In Sudafrica la pizza è a strati, si chiama Triple Chicken Layered ed è condita con mozzarella, cubetti di pollo e cheddar.
Negli Stati Uniti si abbonda con la Pepperoni Pizza Grilled Cheese Sandwiches: pan carrè con salsa di pomodoro, cheddar, mozzarella, salame piccante e burro.
Negli anni 30, chi andava a trovare i detenuti nel carcere di Alcatraz (USA), prima di imbarcarsi poteva acquistare quella a strati di Vincenzo Esposito, figlio di un ergastolano di Napoli. E’ tutt’ora conosciuta col nome di “Alcatraz Pizza”.
Tapioca o Manioca, è delle comunità italiane in Brasile: farina di grano e manioca, acqua, lievito, malto d’orzo e sale.
E’ colombiana la Cano Cristales: impastata con farina di soia o di cocco.
E ora, una bella Margherita non ce la toglie nessuno. Buon appetito!